Spotify si riempie di artisti fake per pagare meno diritti… e le playlist perdono credibilità

A leggere Rockol ed altri siti di settore italiani, sembra che il problema relativo agli artisti “fake” presenti in molte playlist di Spotify non sia così grande e che, una volta scoperto, sia, tutto sommato, facile da gestire perché di dimensioni contenute.

In realtà la faccenda è grave e complicata. “Spotify si sta riorganizzando per lanciare un canale ufficiale per le etichette e gli artisti per presentare musica per le playlist, con l’obiettivo di aiutare la promozione della nuova musica”, ha spiegato Nick Holmstén di Spotify, parlando al futuro a Billboard, un altro media che sta gestendo la questione in modo molto sobrio, forse fin troppo.

Il presente di Spotify è invece questo: molti di coloro che ascoltano Spotify si affidano a playlist atte solo con logiche non musicali. Quasi solo le major, proprietarie della piattaforma sono ad oggi in grado di piazzare bei brani nelle playlist che contano su questa piattaforma prima che essi diventino veri successi. Ci sono eccezioni, legate a label ed operatori che da tempo sanno come muoversi (tra di loro senz’altro la label italiana Ego di Ilario Drago), ma in generale il sistema non funziona.

Non è tutto. Gli artisti “fake” non sono artisti falsi. Sono musicisti come Andreas Romdhane e Josef Svedlund, conosciuti come Quiz & Larossi. Hanno prodotto i brani con più di 50 pseudonimi (artisti fake) ed i loro brani, dopo essere stati acquistati in blocco da Epidemic Sound, hanno riempito le playlist più importanti di Spotify, generando quindi un sacco di soldini autori e produttori.

La formula adottata da Epidemic Sound sembra molto furba, anche per chi fa musica e ricorda per certi versi quella di Soundreef, che si occupa infatti di due cose piuttosto diverse (raccolta di diritti e business music). Pure ES fornisce un servizio di business music: la chiamano: Hand-picked, royalty free music, un servizio pensato per soddisfare chi non vuol pagare diritti musicali… però da Spotify gli stessi diritti, come produttore, editore (etc) ES li incassa e, sembra, li divide al 50% con chi ha creato e prodotto artisticamente i brani.

Qualcosa non quadra, affatto. Se quanto ipotizzato, sia pure in modo blando, da Music Business Worldwide fosse vero, Spotify ed Epidemic Sound sarebbero d’accordo in questa truffa musicale (difficile chiamarla in un altro modo), una truffa non poi così piccola pensata per pagare meno diritti musicali agli artisti “veri”. Un accordo non del tutto legittimo tra Spotify ed Epidemic Sound sembra probabile.

Si dirà che Spotify è un business grandissimo, con 140 milioni di utenti e chi lo gestisce non può perdersi per risparmiare qualcosina in diritti musicali. Il punto però è che Epidemic Sound è ormai una realtà davvero consolidata. Nel 2014 Epidemic Sound come start up ha avuto 5 milioni di fondi dalla svedese Creandum e oggi vale 45 milioni di dollari.

Un’ultima considerazione, del tutto personale. La discografia mondiale, insieme a quella italiana, negli ultimi mesi sembra essere interessata a colmare il value gap tra YouTube (che non paga abbastanza) e servizi come Spotify (che pagherebbero il giusto). Il gravissimo problema di Epidemic Sound fa capire che le questioni sul tavolo sono tante e che sarebbe utile gestirle tutte contemporaneamente, senza posporre oltre un confronto serio anche con Facebook / Instagram (che non pagano diritti musicali).

WHY SPOTIFY’S FAKE ARTISTS PROBLEM IS AN EPIDEMIC. LITERALLY.
https://www.musicbusinessworldwide.com/why-spotifys-fake-artists-problem-is-an-epidemic-literally/

Spotify al lavoro su un sistema per gestire meglio le playlist con le etichette
http://www.rockol.it/news-676514/spotify-playlist-ed-etichette-sistema-migliorare-relazione