Il Guardian racconta il boom della background music… perché senza ‘sottofondo musicale’ non sappiamo stare

Anche se molti degli addetti ai lavori non amano il termine, la background music, secondo il quotidiano britannico Guardian, è in boom. Per questo la testata, una delle più cool e quindi delle più influenti del pianeta, dedica alla faccenda un lungo e divertente articolo scritto da  Jake Hulyer.

Si parte dalla Muzak,  nata negli anni ’20, di cui l’autore racconta la storia in modo piuttosto preciso, e si arriva ad oggi, sempre o quasi sottolineando che chi utilizza la musica nel marketing in qualche modo sfrutti l’arte. E’ un punto di vista senz’altro molto diffuso tra chi ama la musica, magari suona qualcosa per diletto, e ha una professione ‘intellettuale’.

Chi invece è una star musicale o lavora nel settore, ovviamente, sta molto più con i piedi per terra e sa l’ovvio: oggi che i dischi non si vendono più, oggi la musica in streaming produce utili solo in parte paragonabili all’industria del supporto fisico… l’industria della musica (accidenti, è una industria) ha bisogno dei solidi che pagano i brand che questa musica la usano per metterla in sottofondo… ma si sa, è sempre difficile parlare di soldi e di musica nella stessa frase.

Durante una lunga introduzione il giornalista sembra quasi stupito dal fatto che ci siano ormai da decine di anni agenzie specializzate in music branding, realtà che si occupano di sonorizzare catene di ristoranti, hotel, abbigliamento. Hulyer ha pure partecipato a qualche meeting tra agenzia e cliente rimanendo stupito dal fatto che si usi spesso la parola autenticità… in effetti ha ragione. E’ un parolone. Ma parlare di sintonia tra brand, luogo e musica è davvero così d’avanguardia? Evidentemente no, visto che tutte  o quasi le grandi catene del pianeta, non solo quelle di lusso, arredano i loro spazi anche musicalmente.

Non poteva mancare la domanda fatale: ma la musica serve a vendere di più? La risposta, accidenti, non è “SI! Sempre! Fa vendere di più, intorno al 17% di sera, il 21 a mezzogiorno e il 33% dalle 8 alle 9 del mattino” (chiaramente sto scherzando). Ci sarebbero prove evidenti che la musica giusta, quella che non dà fastidio fa si che si rimanga più tempo in uno shop e quindi, probabilmente, si compri di più. Ma bisogna sempre dare risposte precise: si o no, sennò il concetto non è chiaro…

Tono a parte, è una lettura davvero interessante, anche da un punto di vista storico. Infatti Hulyer intervista tanti professionisti della business music e cerca di spiegare come funziona il rapporto tra cliente e music provider. Protagonista dell’articolo è Rob Wood di Music Concierge, un ex giornalista e dj che spiega che in fondo continua a fare più o meno lo stesso lavoro: far ascoltare bella musica a tanta gente.

“Lo streaming ha trasformato tutti in esperti di musica”, spiega Wood concludendo… ma ovviamente non è affatto vero. Chiunque di noi, per esperto che sia, ha sempre bisogno di qualcuno che ne sa più di lui se vuol godere davvero di un’esperienza musicale. Per questo chi fornisce come i soci di AMP servizi musicali oggi è in boom e lo sarà ancora a lungo se riuscirà a far valere la propria competenza nella selezione musicale e non solo nella tecnologia e nella gestione dei diritti.

(Lorenzo Tiezzi)

https://www.theguardian.com/news/2018/nov/06/inside-the-booming-business-of-background-music