L’impatto del Covid-19 su chi gestisce negozi, centri commerciali, bar, ristoranti (…) è stato, è e sarà molto alto. Purtroppo, una buona fetta di persone, in ogni zona dell’Occidente, non sarà più quella che era prima.
Partiamo con una analisi a metà tra sociologia e sociologia dei media che può essere opinabile e parziale, è vero, ma è solo da analisi “di parte” come questa che forse si può capire la situazione che stiamo vivendo.
Se prendere le precauzioni che prescrive la legge è del tutto logico, molti in Occidente sono e saranno sempre segnati dall’esperienza del Covid-19, anzi, da ciò che hanno sentito e visto sui media del Covid-19. Infatti la pandemia, anche in uno dei paesi più colpiti al mondo come l’Italia, non ha portato milioni di morti, ma qualche decina di migliaia in una paese in cui ogni giorno muoiono per altre cause dalle 1700 alle 1800 persone. Il fatto che ogni singolo giorno, in Italia, nascano solo circa 1200 bambini, ovvero che ogni giorno l’equilibrio demografico sia stabilmente a -500 non fa notizia, sui media, nell’agone politico e altrove. I 10 – 15 o 50 morti al giorno per Covid-19 invece si.
Chi, come chi scrive, dubitava dell’importanza dei vecchi media editoriali (siti “giornalistici” e giornalistici, tv, quotidiani, etc) nel segnare la vita delle persone non ha potuto far altro che ricredersi. La Repubblica ha titolato la realtà in anticipo: “Mezza Italia in quarantena” scriveva quando sottoposta a restrizioni (mai quarantena indiscriminata) c’era solo Codogno), e poi la quarantena è arriva. E il suo auspicio in prima pagina “Chiudete le discoteche” è poi diventato realtà dopo poche ore. Gli assembramenti settembrini della politica in Puglia e altrove non sono stati raccontati dai quotidiani con lo stesso zelo, ma non è una novità. Il mondo degli adulti, quelli che fruiscono i media editoriali (giornali, tv, radio, siti web informativi) aveva bisogno di un nemico. E l’ha trovato facilmente nei cattivi, ovvero gli adolescenti e gli under 35, che non leggono più, che non guardano il tg (…).
Venendo a musica e marketing, la sostanza di questo blog gestito da AMP (Associazione Music Provider), i dati raccontano di una crescita esponenziale delle vendite online, anzi di tutto ciò che online e lontano dai luoghi di incontro e di acquisto. In borsa, il gruppo FAANG (Facebook, Apple, Amazon, Netflix e Google) sembra abbia registrato un aumento di vicino al 70%. Se concerti e grandi eventi sono ovviamente sospesi in tutto il mondo, i brand stanno finalmente imparando ad utilizzare la musica online per creare valore. Chi si occupa di music marketing per il retail ha senz’altro la capacità di creare playlist sui social e creare prodotti e servizi musicali online dedicati ai clienti, ai potenziali clienti o semplicemente a rendere più cool un ristorante, una banca o altro.
Chi invece trova il coraggio di uscire per fare colazione, cenare o comprarsi una t-shirt si merita di godere una “colonna sonora” che suoni bene nello spazio fisico che ha scelto per vivere la sua esperienza. La qualità musicale negli spazi sociali, oggi che stare fuori casa è più raro, deve crescere a livello qualitativo e sonoro. Se così sarà, chi ascolta sarà invogliato ad uscire ancora. Altrimenti perché non restarsene a casa, “al sicuro”‘?
L’industria musicale, dopo decenni di difficoltà, sta finalmente incassando moltissimo grazie allo streaming a pagamento delle singole persone, non certo di operatori come i Music Provider. Questi ultimi dovranno farsi sentire forte per poter utilizzare e quindi promuovere musica di qualità attraverso i loro canali, fisici (negozi, ristoranti, etc) e non (playlist, web-radio, etc). Infatti, se la radio fm combatte forte per restare al centro della scena, sembra ormai del tutto superata per definire personaggi, tendenze e successi musicali. I Music Provider, che già oggi spesso superano le radio fm per qualità, devono affermarsi come trend setter. Se lo faranno anche l’industria musicale nel suo complesso ne avrà un beneficio. Se i numeri della discografia sono oggi positivi, la qualità sonora, melodica, armonica (…) di ciò che viene pubblicato non è sorprendente. Se chi seleziona business music diventasse anche, almeno un po’, talent scout, il suo nuovo ruolo sarebbe positivo per due mondi, quello dei brand e quello della musica.