La musica perfetta non “fa vendere”. E’ quella sbagliata che fa danni

In questi giorni ha frequentato più del solito grandi negozi di brand di abbigliamento “pop” ed il supermercato vicino a casa mia. Vivo a Brescia, ma solitamente frequento più gli spazi commerciali di Milano e Firenze che quelli di questa città. E’ stata un’occasione importante per capire cosa davvero ascoltano i clienti negli spazi e pure cosa devono sorbirsi per lunghe ore tutti coloro che in queste strutture lavorano. Ho frequentato supermercato e grandi negozi, come faccio spesso, in orari di poco afflusso, per cui ho sentito la musica forte e chiara.

All’interno del supermercato ho sentito tanti classici italiani ed internazionali anni ’80. Ho ascoltato in particolare “Sotto la pioggia” di Antonello Venditti, un brano che non ascoltavo da decenni, perché non è diventato un classico come altri della carriera del cantautore romano. Come “Girls just want to have Fun” di Cindy Lauper, è conosciuto e forse amato solo da cui ha tra i 40 ed i 60 anni. Chi è più giovane o più anziano, semplicemente lo ignora.

Sia chiaro, entrambi i brani hanno caratteristiche sonore vicine al pop odierno e all’interno di una selezione musicale “suonano bene”. Ma probabilmente questo tipo di canzoni non vengano scelte per motivi musicali: si vuole interessare la clientela di un’età precisa con canzoni subito riconoscibili. 

Nei grandi negozi di abbigliamento di largo consumo invece ho ascoltato una colonna sonora adatta solo ad una boutique di ricerca o di una breve sfilata d’alta moda. Musica ipnotica, elettronica, solo strumentale. Ogni brano l’ho dovuto ascoltare solo e soltanto in versione extended. Se un dj proponesse questo sound in una normale discoteca svuoterebbe la pista. Potrebbe funzionare solo in un piccolo dj bar metropolitano, a Milano o a Tokyo, non certo a Brescia. La mia sensazione, forse sbagliata (ma tale resta) è che in questo caso i music designer abbiano voluto provare ad innalzare la percezione del brand, decisamente pop / low cost, proponendo musica “cool”.

A volte i music designer e gli specialisti in marketing sembrano dimenticare che il potere della musica d’ambiente è “semplicemente” quello di far star bene chi la ascolta mentre fa altro. E’ un potere laterale, misterioso. La musica perfetta non fa “vendere di più”. E’ quella sbagliata, quella proposta in modo forzoso, che genera un paesaggio sonoro poco piacevole e quindi, alla lunga, fa vendere di meno. Tra l’altro, chi fa scelte così particolari crea un paesaggio sonoro poco piacevole per tutti coloro che in quegli spazi non passano solo qualche minuto (i clienti), ma ci lavorano.

In questo senso, i clienti “in target”, probabilmente, non vanno “coccolati” troppo con brani della loro gioventù, perché il rischio è quello di scontentare tutti gli altri. E se un brand vuol diventare cool, non basta certo associarlo solo e soltanto a musica elettronica ipnotica.

(Lorenzo Tiezzi)