Non è una serie tv per tutti, “We are Who we are” del registra italiano Luca Guadagnino, andata in onda su Sky nelle scorse settimane e ancora disponibile su MySky per gli utenti di questa piattaforma.
Una serie ambientata in una base militare americana a Chioggia, sospesa a metà tra Veneto, USA, guerre in corso e tutto sommato comuni problemi adolescenziali (identità sessuale, rapporti con i genitori) “We are Who we are” è in definitiva un altro capolavoro. Come tutti o quasi le opere di Guadagnino, ha una cifra stilistica evidente, perché Guadagnino è dannatamente elegante e sofisticato in ogni cosa che fa, soprattutto negli ultimi anni. Si potrebbe trattare per ore solo della grafica di questa serie, sempre un po’ diversa per ogni puntata, infinitamente più efficace di quella che sto vedendo qui sopra per il trailer “Ufficiale” (ne esistono di non ufficiali sui canali dei produttori di serie e film).
“A Bigger Splash” era un giallo ispirato (anche) alle piscine deserte di David Hockney, “Call me by your Name” era una storia di crescita personale, perché crescere è difficile per tutti, per chi è gay un pizzico di più che a chi scrive ricorda la calda estate de “Il giardino dei Finzi Contini“, ovviamente per l’eleganza, quell’eleganza che mette a nudo i problemi più complessi della vita.
“We are Who we are” è una serie decisamente musicale. Guadagnino, forse per gusto personale, forse perché conosce i gusti di chi la serie la guarda e la guarderà (over 40), alterna ciò che i ragazzi ascoltano davvero (trap, pop, hip hop) e musica ‘esterna’: David Bowie, CCCP e soprattutto Devonté Hynes in versione solista con il suo pianoforte acustico insieme a synth morbidi e con i suoi Blood Orange. Ci sono feste scatenate dal groove rock che i ragazzi oggi non ascoltano mai, ma chi se ne importa. Serve allo scopo dell’opera, come l’attenzione anche estetica ai corpi e al sesso “non convenzionale”.
Una colonna sonora così costa, eccome. Ma serve allo scopo, anche perché poi Guadagnino nelle scene importanti usa spesso musica non conosciuta, non usa le canzoni famose per aiutarlo a creare la giusta atmosfera. Si prende i suoi rischi e quasi sempre riesce.
L’ultima puntata quella che chiude in bellezza e semplicità la serie è un inno ai concerti dal vivo che ogni adolescente dovrebbe vivere. Da solo, con gli amici, con chi finalmente farà sesso. Ci sono i portici cosce di mamma Bologna che nei secoli di cose belle ne han viste tante e ne vedranno ancora. Chiaramente di notte e all’alba.
E’ un episodio, l’ultimo delle serie, che a tratti sembra un videoclip, ma è una sensazione sbagliata. Guadagnino prende la forma e la riempie del suo contenuto, della sua poesia. Se in questa serie c’è più di una volta c’è pezzo orchestrale di John Adams che ovviamente sembra uscito da Star Wars, è per raccontare un ragazzino che trova il suo posticino del mondo. Non è una guerra, non è una battaglia, l’hanno già fatto in tanti prima di lui/lei e tanti altri lo faranno dopo.
(Lorenzo Tiezzi)