Il silenzio delle città ai tempi del Coronavirus

Questa mattina, intorno alle 6, sono uscito di casa per una breve corsetta nei pressi della mia abitazione. I parchi, in Lombardia e quindi anche a Brescia, la città in cui vivo, sono chiusi, ma la legge permette di fare un po’ di movimento vicino a casa. Alle 6 il sole sta salendo nel cielo, è l’alba e ogni alba dovrebbe essere un momento di rinascita. Purtroppo, in questo periodo, non lo è. 

Il paesaggio sonoro, al mattino presto, in una città lombarda di solito non è piacevole: il rumore del traffico inizia a farsi sentire. Tra l’altro, proprio accanto a casa mia, passa la linea ferroviaria che collega Brescia con Cremona, una linea a bassa velocità e a bassa intensità, che riempie di un piacevole rumore chi passeggia nel piccolo parco di fronte alla scuola elementare situata proprio accanto al mio condominio. C’è una grande differenza tra il rumore delle auto in coda davanti alla scuola e il quello di un treno che arriva, qualche volta fischiando…

Ma questo era il passato e si spera torni ad essere il futuro. Il presente è tristemente silenzioso. Assomiglia a quello più storico di Venezia e del centro di Firenze di notte, città solo turistiche, in cui i negozi e luoghi di ristoro (bar e ristoranti) vengono riforniti solo nelle prime ore del mattino. Tanto il turista al mattino dorme e in città solo turistiche non si produce niente. Nella Roma antica i carri con le merci arrivavano in città solo di notte e ci si lamentava molto del rumore che non lasciava dormire… non è cambiato molto.

Il bosco, di notte e di giorno, non è silenzioso. Si sente sempre qualche piccolo animale in movimento. Si sente sempre il vento che passa tra gli alberi. Sono rumori che l’uomo, animale ormai cittadino, oggi può temere. Ma con un po’ di abitudine, ci si trova bene, con una pila in mano o in fronte e le orecchie piacevolmente aperte.

La scelta di alcuni sindaci di far girare auto nelle città deserte che con megafoni incitano a restare a casa sembra in questo caso soprattutto terrorismo sonoro. Vista la linea “comunicativa” di molti politici (lo slogan più comune è STATE A CASA!, anche se il contagio avviene, ovviamente, soprattutto da persona a persona, non uscendo per una breve passeggiata, che infatti è consentita), è una scelta logica.

L’uomo occidentale, sia pure sempre più estraneo al movimento e vicino al comfort food che regala obesità, non è certo fatto per la cattività e per il silenzio.  Anche per questo si fa musica dai balconi. Si fa per allontanare la paura. Oggi che si sta facendo l’abitudine alle restrizioni la paura non viene “agita”… Non si può farla passare cantando. Essa cede il passo allo sconforto. E chi è sconfortato non canta e non suona. Sta in silenzio.

Ci sono state anche diverse polemiche sul ruolo che la musica non dovrebbe o dovrebbe avere in un momento così difficile. Sembra ad alcuni, a molti, che in momenti di lutto non si possa suonare e cantare.

A ognuno il proprio sentire, è giusto così. Pretendere il silenzio per il proprio lutto è comprensibile. Anzi, forse la pretesa del silenzio per gestire il lutto racconta la totale incapacità dell’uomo occidentale di gestire morte e malattia, oggi che siamo tutti “sani” e pretendiamo di voler vivere fino a 100 anni senza acciacchi, pur sedentari.

O forse, oggi che c’è facile musica di sottofondo dappertutto, in ogni spazio collettivo (negozi, ristoranti, banche, web, film, etc), oggi che musica inoffensiva fa sempre e comunque sempre parte del paesaggio sonoro occidentale, la voglia di morire in silenzio è comprensibile.

In passato la musica, quella vera, quella forte, quella che dà la carica o fa piangere, si usava sempre. L’uomo andava in battaglia al suono forte della tromba. Il requiem di Mozart, così come “Hell’s Bells” degli AC DC  non può lasciare indifferenti.

Lorenzo Tiezzi

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