Dovremmo essere nel pieno di una infinita “DJ era”, o almeno, a qualcuno sembra sia ancora così. In realtà ai recenti Grammy Awards hanno vinto The Chemical Brothers, dj band di culto che oggi viene ascoltata, purtroppo o per fortuna, quasi solo dagli over 30 o forse dagli over 40. Di nuove dj star globali non c’è traccia.
L’età dell’oro dei disk jockey, iniziata nel 2004 con Tiesto in console, anzi sul palco alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Atene, forse è finita. E non è finita bene. Nessun dj è diventato una vera popstar. L’unico che sembrava poterlo fare, anzi, l’unico che sembra ancora in grado di farlo, l’olandese Martin Garrix, dopo aver sfornato tante belle canzoni pop dance, da qualche tempo sembra concentrato sulla sua carriera di performer, quella da cui incassa una quantità di denaro importante. “In the Name of Love“, il suo brano più ascoltato su Spotify (900 milioni di plays) è del 2016.
La scena musicale più elettronica, quella techno / tech house da ballo perfetta per far ballare anche chi non ama l’underground, quella di Nina Kraviz, Amelie Lens, Joseph Capriati, Marco Carola (con l’accento sulla o, perché è campano), Peggy Gou … non è ancora diventata e non diventerà mai protagonista del paesaggio sonoro “diurno”. Vuol restare musica giovanile, ripetitiva, “da festival”.
I motivi sono musicali (mancano spesso le melodie, i brani sono sempre strumentali) e non solo: come la moda e come ogni “sottocultura”, anche quella dell’elettronica da ballo techno & dintorni è un’isola felice da cui sarebbe stupido uscire. I top dj mondiali sono contesi dai festival, sono star di nicchia e sono al vertice di una filiera che li riempie di soldi e fama. Perché rischiare tutto per andare a Sanremo o ai Grammy? La prima cosa è riuscita anni fa, e solo in Italia, a Bob Sinclar, professionista francese del ritmo e della melodia che guarda caso da qualche anno, purtroppo, non ci sta regalando altri capolavori come “Love Generation“.
L’altro grande protagonista della scena pop dance, il bel dj scozzese Calvin Harris (modello underwear per Armani), si è “ritirato” giovanissimo a Las Vegas, come un Elvis Presley qualunque, dove nelle grandi discoteche incassa l’impossibile. E’ un grande musicista, per cui ogni cosa che fa la fa bene, ma i tempi in cui produceva “We Found Love” per Rihanna sembrano lontani anni luce. In effetti correva l’anno 2011.
E Rihanna da sola? Anche bella cantante americana, l’unica forse in ambito pop & dintorni aveva la potenzialità di prendere il posto di Madonna per sex appeal, voce e presenza scenica, si è “ritirata” nella moda. Con la sua linea Fenty incassa molto ed evidentemente il fashion system logora meno del pop, per cui perché stancarsi con singoli, concerti e gossip? Molto meglio creare collezioni o forse firmarle soltanto.
Ai recenti Grammy Awards ha vinto soprattutto un giovane talento come Billie Eilish, che fa, se si ascolta bene, “semplicemente” un mix personale di pop dance con venature rock.
Se davvero vivessimo in una dj era, al suo posto avrebbe dovuto esserci un dj o almeno un producer che produceva una popstar come ai tempi di Moroder per Donna Summer. E invece non è successo e probabilmente non succederà mai. Perché “Bad Guy” di Eilish, è anche un pezzo pop dance, anzi un pezzo pop dance molto migliore di ciò che tutti i dj del pianeta siano mai riusciti a proporre negli ultimi 5 anni.
Succede perché il modo di produrre musica è ormai quello dei dj in quasi tutti i generi musicali vicini al pop e non solo: più che suonare e provare e creare nuove armonie e nuove melodie, ci si ispira di qua e di là, si copia e incolla sulla time line del computer, si remixa..
La musica della giovane Billie però, a differenza di quasi tutto ciò che producono i dj, le presunte superstar del mixer dell’universo pop dance (non quelle della techno che a volte innovano, sia pure solo per il dancefloor), per fortuna, è piuttosto innovativa dal punto di vista sonoro. Le strutture armoniche e melodiche dei suoi brani non sorprendono. Ma la sua voce è sempre sussurrata si sovrappone a tappeti sonori in cui frequenze molto basse creano effetti spesso particolari. E’ l’unica artista pop che spesso mi fa chiedere se il mio impianto stereo funziona bene o no… Anzi, le sue canzoni NON suonano affatto bene sul mio impianto, per scelta dell’artista.
Fanno un diverso tipo di pop / dance / rock, ovviamente pure i bravissimi e divertenti Sofi Tukker. Se la loro bella e divertente e chic (etc) “Good Time Girl“, una sorta di contemporanea “Party Girl” degli U2, ha dovuto riesumarla dal dimenticatoio un genio anche musicale come Paolo Sorrentino per farla diventare la canzone più significativa della nuova serie tv “The New Pope“, è semplicemente perché tutta la filiera dell’industria musicale non sta facendo il suo lavoro.
Dj, programmatori musicali delle radio, discografici & dintorni, in quest’era un po’ sonnacchiosa dell’industria musicale, dormono davvero: un pezzo così andava suonato in radio dalla mattina alla sera, perché è allegro, divertente, mette insieme le generazioni ed è pure cool.
Chiudiamo con un diverso sound dell’universo pop dance, quella musica urban che pure ai Grammy quest’anno non ha preso il primo posto, ma che permea almeno due terzi dei brani presenti nell’unica chart che davvero conti per capire il sound fa emozionare e ballare il mondo, ovviamente la Global Top 50 di Spotify.
Questo genere / non genere musicale, capace di mescolarsi alla perfezione con il pop più classico (quello di Camilla Cabello) e con l’hip hop più “arrabbiato” (quello di Eminem), con le sue strutture semplicissime di accordi, è ovviamente anche alla base dei brani trap in italiano che da sempre sono i più ascoltati su Spotify nel nostro paese (tha Supreme & dintorni).
Non se ne parla e scrive abbastanza, di questa rivoluzione musicale urban, soprattutto in Italia, perché per noi è musica davvero lontana dalla melodia, da ciò che abbiamo cantato, suonato e ascoltato per decenni. Addetti ai lavori e pubblico adulto non sono ancora pronti, forse, ad arrendersi ed il risultato è che la scena musicale forse non cresce come potrebbe.
C’è poi un altro problema. Come l’universo dei top dj, anche quello della musica urban non riesce a creare star musicali globali all’altezza di quelle del recente passato (Micheal Jackson, Queen, U2 & compagnia). Soprattutto le star latine, quelle che davvero potrebbero incarnare questa scena senza troppi sforzi, non riescono a farlo. Luis Fonsi dopo “Despacito” è scomparso. Avremmo bisogno di una Jennifer Lopez con venti o trent’anni di meno (e più capacità musicali, probabilmente).
Sia chiaro, alcuni protagonisti di questa scena, potrebbero provarci, a diventare ancora più grandi. Soprattutto Drake, che fu definito genio assoluto in tempi non sospetti da Massimo Oldani (vecchia volpe tra gli speaker radiofonici italiani), potrebbe senz’altro riempire gli stadi del pianeta di un pubblico di diverse generazioni. Si limita invece a riempire più e più volte spazi come la O2 Arena a Londra (20.000 persone di capacità) e ad andare ai vertici di Spotify con ogni singola release.
Si spera che prima o poi anche lui venga preso da una qualche mania di grandezza. Di solito alle star musicai succedeva, in passato. Oggi non si sa. Un’altra speranza folle, forse fantascienza, è quella di vedere in tour i Daft Punk, dopo il loro prossimo album. Chissà che il loro sound, oltre che elettronico, pop e dance, nel prossimo futuro, non diventi anche urban.