Non è un momento facile per chi vive di musica e chi vorrebbe farlo, ma almeno qualche speranza per il futuro c’è.
I musicisti e i discografici possono almeno un po’ sorridere. Gli streaming a pagamento sono in costante crescita, si può sperare che prima o poi anche chi davvero produce musica possa guadagnare non poco facendo musica, come accadeva qualche decennio fa. E se non dovesse succedere, se la musica registrata continuasse ad essere un business in difficoltà, la live music in senso generale sembra in crescita. Un fenomeno non del tutto musicale come Gianluca Vacchi collabora con autori, compositori, dj, fonici... i suoi dischi, forse, per ora non rendono direttamente tanti soldi, ma tra serate ad Ibiza e Instagram, il “fenomeno Vacchi” fa lavorare tanti artisti e tanti professionisti della filiera musicale.
Chi invece la musica la utilizza, ovvero la paga, spesso pagandola cara, come i soci di AMP, l’editore di questo blog, fa bene a preoccuparsi. Ancora oggi, al di là delle legittime posizioni sulla libertà del web (etc) e sulla recente discussione al parlamento europeo sul copyright, internet è una giungla musicale. Come le polemiche su quanti dei tanti soldi generati da Spotify arrivino davvero nelle tasche di chi fa musica, sul web si può ancora oggi fare più o meno tutto senza pagare quasi niente a chi fa musica. La situazione, sia chiaro, sul web è complessa, perché il copyright è una faccenda complessa. Il fatto che Google faccia lobbying in modo massiccio presso gli euro deputati a Bruxelles e che un colosso no profit come Wikipedia oscuri il suo sito (mentre ovviamente ogni enciclopedia potrà sempre riportare tutto senza pagare niente), non aiuta a capire davvero la realtà, ovvero che troppo spesso, ancora oggi, giganti del web e pirati la musica ed altri contenuti non li pagano per niente o non li pagano abbastanza.
Invece i “disperati” che vogliano stare nelle regole nel mondo reale, fisico (nei negozi), già oggi, pagano la musica. E pagano tanto. Per loro si prevede un futuro sempre più complicato, se ad esempio in Italia SIAE non fosse più l’unica a raccogliere diritti anche per altre associazioni.
Detto questo, mentre ci si preoccupa per burocrazia e costo della musica originale, bisogna sottolineare che la cura del paesaggio sonoro di eventi, negozi, manifestazioni (…) è sempre maggiore. Chi come i soci di AMP si occupa proprio di queste faccende, nel lungo periodo, non può che crescere, soprattutto in un paese come l’Italia in cui solo da poco gli impianti audio stanno migliorando e solo da poco i brand di piccole e medie dimensioni curano ogni dettaglio, come fanno da sempre le grandi aziende. Il futuro dei Music Provider è roseo, ma viverlo da protagonisti non sarà facile.