Non è mai stato facile come oggi ascoltare musica di qualità nella storia dell’umanità. Su Spotify e piattaforme analoghe come Apple Music o YouTube c’è quasi tutta la musica mai registrata dall’uomo. La differenza tra Spotify e molti degli altri competitor è il ‘doppio binario’, ovvero gli utenti di S. crescono sempre perché c’è chi si limita alla versione gratuita, quella che genera grandi numeri e serve anche alla promozione delle novità discografiche… ma chi ama davvero la musica non può che scegliere il servizio premium, quello che si paga, quello che ti permette di organizzare ‘tutta la tua musica’.
Tuttavia i problemi non mancano. Abbiamo già scritto del fatto che Spotify, anche se sembra fatto apposta, non può essere utilizzato per diffondere musica in spazi pubblici, ma questo è tutto sommato un problema che riguarda solo i soci di AMP e gli addetti ai lavori.
Ieri sera Music Business Worldwide, un sito in crescita verticale che ogni addetto ai lavori non può non seguire, ha raccontato di una tutto sommato divertente probabile truffa da parte di un gruppo di creatori di playlist bulgari a Spotify. Chissà come, sono riusciti a creare playlist composte di brani di appena 30 secondi prodotti proprio da loro e hanno quindi incassato tanti, tanti dollaroni di diritti…
Come hanno fatto a ‘fregare’ Spotify? Difficile dirlo con certezza, ma evidentemente non è così difficile. Anche noi di Soundscapes.it, nel nostro piccolo e senza grosse conoscenze informatiche, ci siamo accorti che i numeri delle playlist di Spotify sono spesso gonfiati o irreali. Non è semplicemente possibile che brani non poi così conosciuti prodotti o remixati da dj italiani siano davvero più ascoltati di brani di buon successo in tutto il mondo. Se succede, è perché le playlist create da Spotify o dai playlister di riferimento, in qualche modo forzano l’ascoltatore a sorbirsi musica che non vuol davvero sentire. Oppure tali brani non sono davvero ascoltati, vengono solo riprodotti da cellulari, computer (etc) senza che nessuno li senta davvero.
Come viene fatto tutto ciò? Forse non è così importante capirlo, almeno per chi scrive. Il punto è soprattutto ricordarsi che Spotify funziona piuttosto bene, ma non è perfetto, affatto. Non è la ‘Bibbia’ della musica che potrebbe sembrare a chi è vissuto nell’era delle audio cassette e della pirateria musicale, fenomeno in calo verticale… (Tra l’altro di questo calo verticale, da cui appunto parte la rinascita della discografia, non scrive e non parla nessuno, come se fosse troppo palese per essere percepito).
Un problema è appunto quello dei numeri e della ricerca: l’ascoltatore sembra spinto a cercare la musica più ascoltata oggi, solo oggi. Le playlist pubbliche cambiano sempre, le chart sono quelle del momento, rappresentano “grandi numeri”, spesso falsi, lo dicevamo, ma spesso nient’altro. Non che le chart settimanali di acquisti musicali fossero di molto migliori, tuttavia qualche certezza in più la davano. Lo stesso problema, forse, accade nella musica da ballo. Non è un caso, probabilmente, che da quando i dj scaricano su Beatport o illegalmente che non nascono più tendenze musicali univoche. I dj sono diventati star musicali globali, ma la loro musica sembra contare di meno rispetto al loro essere star. E’ senz’altro la prima volta che succede nella storia della musica pop globale. Per capire davvero la musica che viene ascoltata nel mondo bisognerebbe per ora rassegnarsi anche a contare i biglietti venduti dai singoli artisti. Il sistema dello streaming globale piace ai media perché dà numeri che fanno notizia… ma nei fatti danno solo indicazioni da valutare.
Su Spotify poi c’è un problema di archivio personale delle playlist. Visto che le playlist personali, anche nella versione premium non si possono organizzare in cartelle e sottocartelle, si finisce per lasciarsi guidare proprio dal sistema penalizzando opere a volte geniali come gli album. Già, gli album. Chi già conosce bene la discografia di Vasco Rossi, uno degli artisti che nello streaming ha sempre creduto (anche perché incassa ormai soprattutto dai concerti), su Spotify non si perde e sa che il suo primo album è “Ma cosa vuoi che sia una canzone”, uscito nel 1979, mica nel 1985. Se Spotify sbaglia sul più ‘grosso’ artista italiano, figuriamoci sugli altri…
Un altro problema sostanziale di Spotify è poi il suo catalogo: sembra omni comprensivo, ma non lo è. Ad esempio, “Drown” degli Smashing Pumkins, senz’altro uno dei pochi veri capolavori del grunge, brano che ha lanciato la band, uno dei pochi che probabilmente meriterebbe ascoltato tra qualche decina d’anni (…) non è presente nella sua versione estesa. C’è solo una risibile versione priva dello sperimentale assolo finale, quello che distingue un capolavoro da una bella ballad. L’assenza totale di un genio come Lucio Battisti è poi un problema che mette tristezza. Su YouTube ci sono interi album caricati illegalmente ma chi lo desidera non può ascoltarsi l’artista su Spotify e siti simili, siti perfettamente legali. La scelta degli eredi dell’artista è priva di logica.
La versione ‘cut’ di Drown degli Smashing Pumpkins
La versione estesa di Drown (disponibile solo su YouTube)
La truffa (?) bulgara a Spotify
https://www.musicbusinessworldwide.com/great-big-spotify-scam-bulgarian-playlister-swindle-way-fortune-streaming-service/
Lucio Battisti – Una donna per amico (full album) su YouTube