Il mito della musica gratis, anche in negozio

Il percorso per dare alla musica originale di sottofondo il giusto peso nelle attività di marketing all’interno di punti vendita e spazi commerciali è ancora lungo. Soprattutto in Italia, paese in cui luoghi comuni e stereotipi sono difficili da estirpare, anche in chi si occupa di management.

A differenza di ogni azione di marketing, la musica è magia, arte, eternità. Ecco perché, in un’era in cui ognuno di noi la ascolta gratis alla radio, su Spotify e su YouTube, anche molti di coloro che si occupano di retail ‘sentono’ dovrebbe essere ovvio utilizzarla in modalità ‘free’ anche nei loro spazi commerciali. Certo, sono spazi in cui della merce viene venduta a dei clienti, spazi in cui, nulla è gratis. In questi spazi ogni brand è diverso dall’altro. La luce si paga, le campagne pubblicitarie sui media si pagano, i vetrinisti si pagano, un prodotto d’alta gamma è diverso da uno entry level… ma la musica, che è nell’aria ed è arte eterna, perché si dovrebbe pagare?

E poi, siamo certi che ‘background music’ creata ad hoc, che costa la metà di quella originale, non serva allo scopo proprio come capolavori di Vasco Rossi, Coldplay e Sinatra messi insieme in una lunga playlist selezionata da un music provider qualificato?

Questi due atteggiamenti opposti sull’utilizzo di musica, più inconsci che razionali, in Italia, convivono. Sono infatti frutto della stesso problema: la mancanza di cultura nell’ambito del marketing musicale e/o sonoro. Come se non bastasse, si uniscono con un altro mito, quello della difficoltà nel pagamento dei diritti di diffusione musicale da parte di cui usa musica.

Non viviamo nel migliore dei mondi possibili, ma c’è stato un notevole miglioramento negli ultimi anni. Ad esempio, i siti ufficiali di SIAE ed SCF sono ormai ben fatti e forniscono subito cifre indicative. In pochi istanti si possono scaricare i listini. Si capisce subito che per poter utilizzare musica per un anno in un negozio di 100 mq un lettore CD con uno stereo dotato di due casse si paga molto meno di un caffè al giorno. Ovvero 111,90 euro per SIAE e 46,80 euro per SCF. Ovviamente i CD utilizzati devono essere originali. Sono le tariffe ordinarie, spesso scontate a chi fa parte di associazioni di categorie come FIPE, Confcommercio (etc). Chi utilizza più casse audio paga invece qualcosa in più, come ovviamente, chi gestisce spazi di dimensioni maggiori.

Per far crescere una vera cultura dell’utilizzo della musica in ambito retail, l’online è fondamentale, ad ogni livello. Sono ormai piuttosto diffusi articoli come questo, ben scritto da Massimo Petrella di Tailoradio.it sulla sua pagina Linkedin. Cilento School ne propone uno analogo, ben scritto. Quest’ultimo, tra l’altro, dice chiaramente ciò che troppi forse fingono di non sapere, visto che è scritto bello chiaro anche nelle info del contratto di utilizzo di ciascun utente Spotify (compresi quelli Premium): “Non esistono licenze che ti permettono di trasmettere per fini commerciali. Guarda bene le loro condizioni di vendita”.

(Lorenzo Tiezzi, foto di Daniel Mallek)stocksnap_9f23743383